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sabato 14 marzo 2015

Urlo e canto come veicolo di emozioni

"L'urlo di Sharon". Mario Digennaro
Trovo che che ci sia una sostanziale differenza tra l'urlo ed il canto.
L'urlo indica tendenzialmente il desiderio di eliminare qualcosa: ha una traiettoria che prevede un inizio e una fine, legata anche al respiro.
Quando si urla, si butta fuori qualcosa.
Se è rabbia, la si vuole eliminare, se è gioia, la si vuole esprimere ma allo stesso tempo, l'urlo è utile per dissipare l'agitazione, il calore che la gioia instaura dentro di noi.

Con il canto invece, c'è un'implicazione di trasformazione.
Cantando si accetta quello che si sta vivendo, anche se è dolore. Altrimenti non lo si potrebbe cantare, dato che il canto è un tentativo di celebrare, di amplificare, di diffondere.

Chi usa l'urlo, spesso lo fa per alleggerirsi, perchè sente il bisogno di far uscire il peso dei problemi, ha bisogno di liberarsi.
Però, se chi urla non capisce la ragione per cui si è trovato in quella specifica situazione, egli avrà sempre il bisogno di urlare.

L'urlo è improvviso, non ha regole necessita di sforzo.
Il canto è diverso: innalza le emozioni, dà dignità a qualsiasi cosa noi sentiamo dentro.
Esso sollecita il corpo in più modi. 
La voce risuona nella testa, sulla faccia e si propaga nel resto del corpo. Tutte queste vibrazioni contribuiscono ad eccitare particolari ghiandole, le quali producono ormoni che favoriscono il benessere della persona, aiutano a percepire serenità e gioia.
Quando si canta, lo si fa con tutto il corpo, l’emissione di fiato attraverso le corde vocali fa vibrare le ossa, i tessuti, la pelle. Con l’espressione vocale si mettono in correlazione le emozioni provate con i muscoli, con la postura, con le espressioni del viso, con lo sguardo. E queste emozioni vengono alla ribalta, emergono inconsapevolmente, e la voce diventa veicolo inconscio di comunicazione interiore.
Urlare e cantare hanno una cosa in comune: fermano il pensiero, mettono a tacere la mente, creano silenzio nella testa. Un silenzio che fa molto bene. 
Siamo abituati a mettere la testa davanti a tutto, la razionalità predomina molte volte su emozioni, desideri e bisogni naturali. Farla tacere ogni tanto permette di andare oltre quei limiti che essa ci impone, di essere più in contatto con il resto di noi, e sentirci appagati, felici e liberi.


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